Massimo Centini, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino, ha lavorato con Università e Musei italiani e stranieri.
Ha insegnato Antropologia Culturale all'Istituto di design di Bolzano e collaborato, nella sezione "Arte etnografica", con il Museo di Scienze Naturali di Bergamo.
Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino, insegna "Storia della criminologia" ai corsi organizzati dal Movimento Universitario Altoatesino - MUA - di Bolzano.


Autore di numerosi studi di Antropologia tra i quali ricordiamo "L'uomo selvatico", "La Sindrome di Prometeo" e "Reliquie Impossibili".
Ha scritto numerosi libri su Torino e sulla storia e la cultura del Piemonte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Sindone fotografata da Giuseppe Enrie nel 1931.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA RELIQUIA DIPINTA
L'iconografia Sindonica in Provincia di Torino
di Massimo Centini

Si intitola La Sindone di qua dai monti. Documenti e testimonianze e può essere considerato il primo organico tentativo di tracciare un quadro sull’iconografia sindonica in Piemonte. Il libro, coordinato da Maria Luisa Moncassoli Tibone e Gian Giorgio Massara, vide la luce nel 1978 –  in occasione dell’ostensione – grazie al contributo di una serie di club ed enti privati che sorressero così una ricerca sindonologica parallela a quella finalizzata allo studio tecnico-scientifico del reperto in sé, comunque d’importante supporto all’indagine storica sulle vicende del sudario. Nel corso degli anni  a seguire altri studiosi e ricercatori (ricordiamo qui l’instancabile Giuseppe Terzuolo, Rosa Mellino, Mario Durando, ma l’elenco potrebbe continuare), si sono dedicati al tema, segnalando, raccogliendo, commentando o schedando in modo sistematico, il vasto corpus iconografico sindonico del Piemonte.

Per inciso ricordiamo che la Sindone, malgrado i problemi che hanno contrassegnato la ricostruzione della sua storia, continua ad essere un oggetto che conserva con la fede un rapporto  indissolubile e millenario. Anche nel clima di apparente disinteresse e allontanamento dalla fede cattolica caratterizzante questi nostri tempi, la Sindone è risultata uno straordinario catalizzatore del culto. Ne abbiamo avuto tutti un esempio emblematico in occasione dell’incendio che nella notte fra l’11 e il 12 aprile 1997, ha avvolto la cappella del Guarini, in cui il sudario era conservato. La paura che il fuoco distruggesse  quel telo, gli attimi di angoscia in cui i pompieri lavoravano cercando di abbattere la teca di cristallo a prova di proiettile dove era contenuta la cassa e la gioia della popolazione dopo il salvataggio, sono la conferma che, ancora oggi, quel sudario rappresenta qualcosa di importante per tutti, credenti e non.

Sindone

Indubbiamente la naturale enfasi di quei momenti drammatici e l’eco dei mass media, hanno caratterizzato quel salvataggio con toni anche mistici: ma  era inevitabile, fa parte della cultura della Sindone, della sua tradizione, della sua storia. Infatti non è la prima volta che il sudario è vittima del fuoco: sicuramente il 4 ottobre 1532 fu salvato a stento dall’incendio che aveva avvolto la cappella di Chambéry in cui era conservato, riportando però alcuni danni ben visibili. Si dice inoltre che la Sindone anche in altre occasioni abbia rischiato di essere bruciata, ma le prove a sostegno sono scarse e non sempre riescono a reggere la critica storica.

Incendio Cappella del Guarini Nei giorni successivi all’incendio di Torino, il cardinale Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, a sorpresa ha dichiarato: “ne sono convinto la Sindone è il lenzuolo in cui il Signore Gesù è stato avvolto dopo la sua morte in croce per salvare l’umanità”. E ha aggiunto: “la Sindone è un oggetto unico al mondo. Quanto vi è raffigurato coincide in tutti i particolari con ciò che è stato tramandato dai testimoni della passione di Cristo. Il modo in cui si è formata l’immagine, poi, non ha ancora spiegazioni scientifiche, così come non ha trovato spiegazioni il fatto che il lenzuolo una volta fotografato, ci appaia come un negativo”.
Sono state dichiarazioni importanti, che hanno colpito l’opinione pubblica, poiché pongono in evidenza una presa di posizione molto chiara, che si allontana dalla prudenza dimostrata dalla Chiesa dopo i risultati del C14.

Ritorniamo adesso all’iconografia sindonica piemontese. Questo importante patrimonio può essere, dal punto di vista tipologico, così suddiviso:

  1. affreschi
  2. tele, tavole e altri supporti non murali
  3. miniature
  4. incisioni e opere a stampa
  5. rilievi e sculture
  6. ex voto
  7. arte decorativa
  8. raffigurazioni utilizzate nel teatro religioso popolare; confraternite, ecc.
  9. materiale devozionale: medagliette, immaginette, ecc.
  10. copie.

Globalmente si tratta di una quantità di materiali di grande interesse, che si presenta molto articolata e pone soprattutto in evidenza il forte ruolo devozionale della Sindone nella cultura subalpina. Che si tratti di opere popolari realizzate da anonimi pittori, o di realizzazioni di maggiore valore artistico firmate da autori noti e storicizzati, l’iconografia sindonica delle nostre parti ha avuto un ruolo fondamentale nella tradizione devozionale. Ha lasciato moltissime tracce, che però sono poco note fuori dalla cerchia degli specialisti e, soprattutto per quanto riguarda gli affreschi, quasi sempre sono ascritte alla folta schiera della cosiddetta “arte minore”, quella che solo in poche occasioni trova spazio in monografie d’arte, mentre risulta spesso affidata a “storie locali” e qualche volta a guide “alternative”.

Si consideri inoltre un fatto rilevante: pur essendo numerosi gli affreschi ancora visibili, molti altri sono andati perduti nel corso di ristrutturazioni e demolizioni, ma anche l’incuria ha fatto i suoi danni. A ciò aggiungiamo inoltre un ulteriore problema di ordine storico: mancando i riferimenti archivisti e documentali, molto spesso l’attribuzione risulta impossibile; poi, per quanto riguarda la datazione, se un inquadramento generale è possibile osservando tipologie esecutive e stile, una definizione precisa diventa difficile in assenza di elementi in grado di fornire riscontri attendibili.

La grande quantità di affreschi (esterni e interni)  a tema sindonico, che dal XVI al XIX secolo sono stati realizzati sui muri di chiese, case, piazze, cappelle pubbliche e private, con intenti devozionali e protettivi, sono una conferma oggettiva dell’importanza che la reliquia ha avuto nel culto e nella tradizione piemontese. Importanza che fu sostenuta soprattutto dai Savoia: promotori di un culto – quello del Sudario – che trasferirono nei luoghi in cui ebbero modo di instaurarsi, anche al di fuori dei confini sabaudi.

Madonna Nera di OropaNella religiosità popolare era diffusa la convinzione che la Sindone avesse il potere di difendere da eventi distruttivi naturali e allontanare le epidemie, in particolare la peste. Anche per questa sua valenza, il sudario è entrato a far parte di modelli figurativi e stereotipi iconografici scanditi da elementi ricorrenti e da tutta una serie di “varianti sul tema” che sono dominanti nell’arte popolare. E così la Sindone può risultare accanto alla Madonna Nera di Oropa, amalgamata al blasone dei signori del luogo, sorretta dai martiri della Legione Tebea, o da altri santi localmente importanti.
Nell’insieme si definisce un quadro eterogeneo, contrassegnato da un sincretismo iconografico che pone in evidenza la straordinaria capacità del fedele di costruire scene devozionali nelle quali la Sindone diventa anello di congiunzione tra persone, luoghi e periodi diversi.
Osservando globalmente anche solo il panorama che caratterizza la provincia di Torino, si ha l’impressione che questa tipologia figurativa devozionale, sottotraccia ma capillarmente diffusa, fosse parte integrante di una tradizione pittorica che faceva capo ad alcuni modelli, contrassegnati da temi compositivi e segni cultuali che erano parte integrante della fede.
Ricchissima di iconografia sindonica la provincia di Cuneo, ma non è da meno quella di Torino.

In qualche caso, gli affreschi con questo tema sono presenti in quei luoghi in cui il sudario transitò nel corso degli spostamenti che ne hanno caratterizzato la storia dopo essere entrato a far parte del patrimonio dei Savoia: i più famosi sono Balme, Voragno, Mezzenile e Lanzo.

Le raffigurazioni della Sindone sono, nella maggioranza dei casi (oltre il quaranta per cento) dipinte su supporto (tela, tavola, ecc.), mentre la pittura ad affresco è presente in misura minore (circa il trentacinque per cento), occupando comunque la seconda posizione nella tipologia iconografica sindonica.
La maggior parte delle raffigurazioni della reliquia, nella provincia di Torino (come in genere nel Piemonte), è presente in luoghi di culto (circa il sessanta per cento); il rimanente si trova in edifici pubblici e privati. Gli affreschi, in gran parte, sono all’esterno; questa collocazione ha indubbiamente contribuito in modo rilevante alla scomparsa di una percentuale rilevante di pitture: si stima che raggiunga il 22% dell’intero corpus.

Se analizziamo, dal punto di vista compositivo e contenutistico, il corpus pittorico sindonico in affresco presente nella nostra provincia, abbiamo modo di porre in rilievo alcune caratteristiche ricorrenti: la Sindone è rappresentata nella interezza (la doppia figura di Cristo) nella maggioranza dei casi; la raffigurazione di una sola metà (ovviamente quella anteriore) sembrerebbe determinata da motivazioni di ordine spaziale.
La reliquia quasi mai è posta in un paesaggio riconoscibile: in genere il fondo è omogeneo, qualche volta sfumato. Possono essere presenti angeli: in qualche caso reggono candele, più raramente la Sindone.
Intorno alla reliquia, con il ruolo di sorreggerla o di venerarla (più di rado), trovano posto la Vergine, santi, vescovi, cardinali e in qualche caso personaggi riconducibili al luogo in cui è presente la raffigurazione dell’ostensione.

Praticamente onnipresente la Madonna; tra i santi maggiormente rappresentati vi sono san Carlo Borromeo, san Giovanni Battista e sant’Antonio da Padova.
Solo nella provincia di Torino, gli affreschi (posti all’esterno e all’interno) che raffigurano la Sindone, sono numerosi; li troviamo a: Carignano; Chiaverano; Chieri; Ciriè; Collegno; Condove, Corio; Cumiana; Fiano; Giaveno; Giaglione; Lanzo; Levone; Lombriasco; Mazzè; Moncalieri; Montaldo Dora; Montanaro; Nichelino; Nole Canavese; Oglianico; Osasco; Pinerolo; Piobesi; Rivara; Rivoli; Rocca Canavese; Salassa; San Carlo Canavese; San Maurizio Canavese; Susa; Torino; Venaus; Villafranca Piemonte; Villarbasse; Villar Dora; Vinovo; Virle.
Con il ridursi delle epidemie di peste e del potere dei Savoia, anche il culto della Sindone andò via via perdendo la propria antica solidità: l’iconografia è l’ultima traccia visibile di una forma di culto ormai quasi totalmente dimenticata. Inoltre, va considerato che l’affermazione della fotografia ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione della Sindone, determinando di contro una riduzione delle riproduzioni dipinte, copie e altre forme di raffigurazione della reliquia.

Chieri Sindone

Non dimentichiamo che la fotografia ha con la Sindone un legame molto saldo. Basti ricordare   Secondo Pia (1855-1941), dilettante che fu soprattutto un “fotografo d’arte”, il primo a fotografare la Sindone durante l'ostensione del 1889. Nel corso delle operazioni di sviluppo della lastre, Pia si rese conto che l'immagine era in negativo, fatta eccezione per le macchie di sangue, i segni delle ferite e gli altri segni presenti sul lino.

Le successive fotografie di Giuseppe Enrie (1931) confermarono quanto dimostrato dal Pia, determinando una crescita degli studi sindonologici, che coinvolsero in misura sempre maggiore il mondo scientifico.
Quelle fotografie furono l’incipit a tutta una serie di ricerche che nel corso di un secolo hanno condotto a strabilianti risultati. Gli scienziati hanno infatti stabilito che sul tessuto sono presenti macchie di sangue (gruppo AB), di siero e cellule di epidermide.
Sono anche  evidenti segni di carbonizzazione: oltre a piccoli fori bruciacchiati, sono evidenti due linee scure parallele longitudinali, intersecate da 22 rattoppi triangolari. Questi interventi  coprirono i buchi prodotti da una goccia d'argento fuso dell'urna (nella quale il sudario era ripiegato e contenuto) in occasione dell'incendio scoppiato, nel 1532, nella sacrestia della cappella di Chambèry, dove la Sindone era conservata.
Sono anche evidenti gli aloni prodotti dalle colature dell'acqua utilizzata per spegnere l'incendio del 1532.
È abbastanza certo che l'immagine antropomorfa  non sia stata dipinta, né stampata, in quanto sul tessuto sono assenti pigmenti di colore. Va ancora aggiunto che è motivo di discussione se l'impronta sia il risultato di una strinatura causata con uno stampo (o bassorilievo riscaldato).
Ne consegue che, sulla base delle nostre attuali conoscenze sembrerebbe possibile escludere che la Sindone sia stata prodotta con mezzi artificiali.
Infatti, fino ad oggi, salvo alcune ipotesi non totalmente avallate dalla sperimentazione in laboratorio, non conosciamo il meccanismo fisico-chimico posto all'origine dell'impronta. L'immagine è costituita da una doppia figura umana (frontale e dorsale), che per effetto del chiaro-scuro rivela la sua origine tridimensionale. Il colore è più intenso nelle parti sporgenti della figura (fronte, naso, mento, petto, ecc.) e meno intenso per le altri parti. L'altezza della figura riprodotta è di circa 1,80 metri.
Su alcuni punti particolari (per esempio la fronte, la nuca, il polso, i piedi e il costato destro) la forma e il colore della macchie sono diverse da quelle del resto del corpo: tendono al carminio, sono piane, senza rilievo e con contorni netti, privi di sfumature.
Osservando la manifattura rudimentale della stoffa, la prevalenza con tracce di cotone e assenza di fibre animali, sembra credibile un'origine del tessuto in area siro-palestinese, cronologicamente collocabile nei primi secoli.
Sul tessuto sono presenti molti pollini di provenienza mediorientale, aloe e mirra. E' stata segnalata la presenza di un tipo di carbonato di calcio (aragonite) simile a quello ritrovato nelle grotte di Gerusalemme. Sugli occhi dell'uomo della Sindone sembrerebbero rilevabili le impronte di monete coniate nel 29 d.C. da Ponzio Pilato.
L'asimmetria degli arti inferiori evidente sulla Sindone, che rivela la gamba sinistra più corta, ha supportato la tradizione, del Cristo zoppo. Sono stati tracciati dei legami anche con l' iconografia: in particolare con la pittura di origine bizantina, in cui la "curva" delle gambe del Cristo crocifisso lascerebbe intravedere una disarmonia tra gli arti.
Gli esiti dell’analisi al carbonio radioattivo, che cronologicamente pongono la Sindone tra il 1260 e il 1390, in apparenza hanno chiarito dei dubbi intorno ad un reperto misterioso. Di contro, ne hanno  aggiunti molti altri.
In pratica, se la datazione è corretta, non si  riesce a comprendere con la dovuta limpidezza scientifica, attraverso quali misteriosi procedimenti il falsario medievale sia stato in grado di realizzare una reliquia con caratteristiche tali da renderla ancora oggi inimitabile sotto molti punti di vista.

Un caso interessante
L’affresco sindonico di Voragno, in Val di Lanzo, è situato su un lato esterno della cappella dedicata ai Santi Lorenzo e Sebastiano e situata lungo la strada provinciale che collega Ceres ad Ala di Stura. L’edificio fu realizzato nel XVI secolo e quindi ampliato dopo la metà del XVIII secolo. L’articolata pittura (XVI secolo) propone, oltre a una serie di figure di santi, una bella rappresentazione di un’ostensione della Sindone. Per la sua originalità nel contesto dell’iconografia sindonica, questo piccolo gioiello dell’arte devozionale il 16 aprile 1910, grazie all’interessamento dell’allora vicario di Ceres Giovanni Milone, ottenne, con Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione, di essere riconosciuto un “Monumento pregevole d’arte e di storia”.
Purtroppo la collocazione degli affreschi (sono praticamente sulla strada provinciale) ha richiesto una serie di restauri e oggi sono protetti da uno schermo in lastre di lexan, un particolare materiale in policarbonato che li difende dagli agenti atmosferici e dai danneggiamenti.

Il primo studioso a occuparsi di questi affreschi fu il barone Giovanni Donna d’Oldenico,  che ebbe il ruolo di portare alla luce l’importanza storica di questo corpus pittorico. Lo studioso ipotizzava che l’affresco fosse stato realizzato come ex voto per lo scampato pericolo dopo l’incendio di Chambéry: tesi che sembrerebbe quella più credibile e in opposizione a quella – di minor solidità – che invece correlerebbe l’affresco alle nozze tra Carlo III di Savoia (1486-1553) e Beatrice di Portogallo (1504-1538).

Posti cronologicamente nella terza decade del XVI secolo, sono anonimi, ma la loro fattura ha indotto chi li ha studiati a porli sulla scia della scuola vercellese, nella quale hanno lasciato tracce profonde Defendente Ferrari (1480/85-1540) e i Giovenone.

Voragno Sindone

Partendo dal lato sinistro dell’affresco, troviamo la raffigurazione di un’ostensione della Sindone: il telo appare disteso completamente, così da porre in evidenza sia la parte anteriore che posteriore del corpo di Cristo; i lati sono sostenuti da due vescovi e al centro da un cardinale che viene riconosciuto in Ludovico di Gorrevod, vescovo di Saint Jean de Maurienne. Più in basso e con dimensioni minori, sono raffigurati due personaggi in preghiera che potrebbero essere i committenti della pittura, cioè Beatrice e Carlo. Procedendo nell’osservazione verso destra, troviamo, richiusi in singoli riquadri, san Claudio, san Sebastiano, san Cristoforo e san Giacomo. Sono inoltre presenti stemmi sabaudi: uno con la scritta FERT, oggi difficilmente visibile, e l’altro con i nodi di Savoia.

Dal punto di vista iconografico, l’affresco di Voragno lascia trasparire alcuni arcaismi pittorici, come già indicato da Donna d’Oldenico: “i due candelabri tenuti dai lampadofori sono ancora gotici. Così dicasi dei disegni delle stoffe dei piviali dei vescovi, e di alcuni altri particolari: come la forma curvilinea delle pieghe delle tuniche che i vescovi portano sotto il piviale, e la presenza di anelli vescovili sopra i guanti. Infine il disegno a treccia delle incorniciature dei quadri (quello della Sindone e quello di san Claudio) è ancora d’ispirazione quattrocentesca” (G. Donna d’Oldenico (Gli affreschi di Voragno e il passaggio della Sindone in Val di Lanzo, in “Sindon”, n. 1, 1959, pag. 22).

Secondo il parere di numerosi storici, la realizzazione dell’affresco di Voragno dovrebbe essere posta in relazione al passaggio e alla sosta della Sindone nella cappella dei Santi Lorenzo e Sebastiano, che qui transitò (1535) in occasione del suo trasferimento da Chambéry a Torino, attraverso la Val d’Ala.
Preoccupato dei risvolti determinati dalla presa di Ginevra da parte dei calvinisti, Carlo III e la moglie inviarono la Sindone a Torino, decidendo di far trasferire la reliquia dal meno noto colle d'Arnas, che si innesta appunto in Valle d'Ala, invece che servirsi dei più battuti e controllati Piccolo San Bernardo e Moncenisio. Il gruppo incaricato del trasporto, dopo il valico, sostò a Voragno di Ceres, passò poi per Lanzo e raggiunse Torino, quindi Milano per una breve ostensione  nel Castello Sforzesco.

 

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